Quale può essere l’utilità dei volontari subacquei?
E’ un dato di fatto che gli scienziati che potrebbero essere impiegati per questo genere di attività sono troppo pochi ed è altrettanto noto che il numero di subacquei che quotidianamente si immergono in qualsiasi mare del mondo è attualmente elevatissimo. Dal punto di vista teorico combinare la ‘manodopera’ di questo enorme numero di potenziali ricercatori con l’impegno dei pochi scienziati disponibili potrebbe rappresentare una soluzione quasi scontata. Purtroppo i pochi scienziati disponibili non solo sono attualmente estremamente scettici su questo genere di possibilità ma addirittura a volte osteggiano questo tipo di iniziative, o perché ritengono che vengano impiegate risorse economiche per attività inutili quando di risorse ne servono già abbastanza per attività più documentate o perché temono di perdere semplicemente il loro tempo.
In Italia vi sono già stati alcuni tentativi di coinvolgimento di subacquei volontari ma ogni volta sono miseramente falliti, per cui i pochi scienziati che credevano in questa possibilità è molto difficile convincerli a tentare di nuovo questa strada.
L’obiettivo di coloro che si propongono oggi in Italia con entusiasmo per rilanciare questa attività è certamente realizzabile grazie anche al supporto di esperienze internazionali di grande prestigio. Queste esperienze hanno ricevuto numerose conferme. Nel mese di agosto 2007 è stato pubblicato on line, da parte della Public Library of Science, uno studio di John Bruno, ricercatore presso l’Università del North Carolina. Tale studio rappresenta la prima ricerca esaustiva sulla situazione dei reef corallini dell’Indo-Pacifico. Esso, oltre a confermare lo stato di grave crisi che questi stanno attraversando, ha ricavato una discreta parte di dati dal database di Reef Check un’organizzazione, con sede presso l’Università di California a Los Angeles (USA), presente in oltre 80 paesi, e riconosciuta ufficialmente dalle Nazioni Unite come Rete Globale di Monitoraggio delle Barriere Coralline basata sul contributo di subacquei volontari.
Gli scienziati dovrebbero riconoscere che i dati raccolti dai volontari, anche se non possono essere considerati alla stregua di quelli che loro sarebbero in grado di produrre, rappresentano comunque un campanello d’allarme ed è a questo punto che essi potrebbero intervenire per dedicare la loro attività specialistica a queste realtà concentrando i loro sforzi in maniera più mirata sulle aree che potrebbero essere maggiormente a rischio.
Secondo David Turner, James Brook, and Sue Murray-Jones ci sono due principali giustificazioni a sostegno dell’uso di volontari nella raccolta di dati ambientali:
- Promuovere un coinvolgimento di una comunità più vasta nel monitoraggio crea e incrementa i livelli di consapevolezza e di educazione quando un gran numero di persone sono attivamente coinvolte nel programma. Questo può portare ad un senso di appartenenza alla comunità e può generare benefici aggiuntivi come una riduzione dell’impatto e degli sforzi nella riabilitazione. In aggiunta, programmi di monitoraggio comunitari facilitano una partecipazione più informata nei processi in cui vengono prese decisioni sulle risorse naturali locali che possono dare potere alle comunità locali.
- La seconda questione è correlata ad un incrementato volume di informazioni che possono essere ottenute da un più grande numero di partecipanti – più occhi nell’acqua. Questo permette la raccolta di più dati su scale temporali e spaziali più ampie. Dall’altro lato, i programmi devono essere disegnati all’interno dei limiti delle capacità dei volontari, in modo tale che i dati possono essere raccolti senza perdita di precisione.
Il volontariato ambientale subacqueo come supporto al monitoraggio degli ambienti costieri
È ormai accettato che conservare la biodiversità rappresenti una responsabilità che deve essere recepita a livello locale, nazionale e globale. Tra i motivi principali che limitano lo sviluppo di piani d’azione per specie ed habitat marini vi sono la mancanza di una conoscenza dell’estensione, della distribuzione e delle dinamiche di questi habitat e di queste specie. A complicare tale scenario si aggiunge l’anomalo riscaldamento del pianeta che sta rapidamente modificando gli equilibri di numerosi ecosistemi, tra cui quelli marini. Il monitoraggio di tali ambienti è l’unico sistema che consenta di comprendere i cambiamenti in atto, ma l’estensione delle coste italiane e il ridotto numero di ricercatori subacquei non consentono un’adeguata capillarizzazione dei rilievi..
Quello che servirebbe per affrontare adeguatamente lo studio della distribuzione delle specie e le loro dinamiche è una stretta collaborazione tra ricercatori e volontari. Il ruolo di questi ultimi dovrebbe essere anche quello di “sentinelle”, in grado di percepire e segnalare le anomalie sulla base della loro esperienza. Un censimento diffuso di diversi organismi e un costante monitoraggio di alcune aree possono fornire informazioni importanti sulla distribuzione e sui cambiamenti in corso, sia naturali sia dovuti all’impatto antropico, da cui trarre utili indicazioni per la gestione della fascia costiera, soprattutto nelle aree protette.
Esperienze di questo tipo sono in corso in diverse parti del mondo, tra gli esempi più significativi si possono citare quello della NOAA nell’ambito dei santuari marini americani, il progetto NELOS per le coste belghe ed olandesi, il SEASEARCH inglese ed i REEF CHECK che si svolgono ormai in tutto il mondo.