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La scomparsa dei grandi predatori

Pubblicato da Scubamonitor in Squali · 25/6/2010 15:13:00
Tags: estinzioniretialimentari


Recenti immersioni effettuate alle Isole Galapagos mi inducono ad alcune considerazioni relative alla presenza dei grandi predatori nelle scogliere coralline. Mi immergo ormai da quasi venti anni e credo di poter affermare che, sommando tutte le immersioni fatte in precedenza, non mi sembra di ricordare di aver mai osservato un numero di squali così elevato come quelli incontrati in questa località. Ricordo di aver visto i primi squali a Rocky Island, nella mia prima crociera in Mar Rosso all'inizio degli anni novanta e, fatta eccezione per una immersione nel Mar dei Coralli, da quella volta gli incontri con gli squali sono stati sempre delle rarità. E non credo solo per il sottoscritto perché l'avvistamento anche di un singolo squalo rimane un evento che crea enorme entusiasmo e monopolizza il racconto di qualsiasi subacqueo. Tale discorso vale non solo per gli squali ma per i grandi pesci in genere, che si tratti di tonni, grandi cernie o pesci napoleone, raiformi ecc. E' quindi scontato poter affermare che nelle scogliere coralline i grandi pesci sono ormai delle rarità, ma la domanda che ci si può porre è se questa sia la normalità oppure se qualcosa sia avvenuto che ha determinato la quasi scomparsa di questi organismi dagli ambienti dei reef corallini. Stando ai racconti di chi ha avuto occasione di conoscere a fondo questi habitat, soprattutto da lungo tempo, sembra proprio che negli anni si sia assistito ad un vero e proprio degrado che ha portato quasi all'estinzione alcuni di questi grandi predatori.
Il punto è, come afferma Sheppard nel suo articolo “The Shifting Baseline”, che le generazioni si abituano a considerare normale quello che esse sono abituate a conoscere e che quindi i cambiamenti che avvengono lungo un determinato periodo di tempo vengono percepiti come normalità a meno che non si manifestino attraverso eventi traumatici.
E' noto che i grandi predatori rappresentano il vertice della catena alimentare; in ecologia, tale catena viene raffigurata in genere con una piramide dove al vertice stanno i predatori apicali, con una biomassa inferiore a quella costituita dagli organismi che stanno alla base della stessa piramide. Questa struttura è legata al fatto che man mano che si sale nella piramide la biomassa si riduce perché gran parte viene persa come energia.

   

In studi recenti effettuati in atolli del Pacifico, lontani dalla presenza dell'uomo, e quindi considerati ancora naturalmente integri, gli autori hanno dimostrato che la biomassa costituita dai grandi predatori risulta maggiore rispetto a quella dei pesci che occupano i livelli inferiori e quindi, relativamente ai pesci, la piramide assumerebbe una conformazione quasi invertita (Stevenson et al 2007).
L'inversione non va interpretata come una eccezione alla regola, non è semplice trovare spiegazioni a questo fenomeno ma una potrebbe essere legata al fatto che i grandi predatori non dipendono interamente dal reef per il loro sostentamento, essi sono infatti in grado di ricavare le loro risorse alimentari anche in aree totalmente staccate dagli stessi reef. Non va inoltre dimenticata l'attrazione che i reef sono in grado di esercitare su numerose specie che di norma si cibano in acque aperte, come ad esempio carangidi, scombridi. 
Tutti i reef corallini sono stati oggetto di un indiscriminato prelievo degli organismi di maggiori dimensioni che da sempre rappresentano le prede principali del vero predatore apicale che è l'uomo. Questo sta portando queste aree ad una situazione probabilmente senza ritorno.
I riscontri negli atolli del Pacifico dimostrerebbero che la presenza dell'uomo potrebbe aver inciso con ogni probabilità sul normale equilibrio dell'ecosistema dei reef corallini evidenziando che nei reef in salute, contrariamente a quanto sembra la norma, il numero di grandi pesci è assolutamente elevato.
Un recente documentario, ancora non disponibile in Italia ma consultabile in internet all'indirizzo: http://endoftheline.com/ evidenzia in maniera disarmante che nel 2050 in tutti gli oceani del pianeta i pesci potranno essere considerati virtualmente estinti. La medesima sorte potrebbe capitare anche alle scogliere coralline che, secondo i maggiori ricercatori del campo, saranno uno degli ecosistemi destinati a scomparire per primi. Soprattutto se gli attuali fenomeni, come il riscaldamento globale o lo sfruttamento eccessivo della pesca, solo per citarne alcuni, dovessero procedere ai ritmi attuali.
Quali soluzioni è quindi possibile proporre a tale problema? In primo luogo incentivare un utilizzo sostenibile dei reef attraverso l'educazione delle popolazioni locali ad una gestione basata su tecniche non distruttive. Ad esempio, invece di catturare squali al solo scopo di rivenderli nei mercati orientali, dove la richiesta supera già di gran lunga le attuali possibilità di prelievo, si potrebbe incentivare il turismo subacqueo, favorendo le compagnie che svolgono la propria attività dando lavoro alle popolazioni locali. Come è già ampiamente dimostrato dal business di alcuni tour operator che, promettendo l'incontro con grandi predatori, vedono aumentare notevolmente i propri profitti offrendo al tempo stesso alla popolazioni locali nuove opportunità di sviluppo. Un'altra soluzione consiste nel monitorare costantemente i reef allo scopo di aver una visione nel tempo che ci consenta di avere sempre una corretta percezione del reale stato di salute di questi ecosistemi.

Riferimenti

Sheppard, C.1995.The shifting baseline syndrome.
Marine Pollution Bulletin 30: 766-767

Stevenson, C., Katz, L. S., Micheli, L. F., Block, B., Heiman, K. W., Perle, C., Weng, K., Dunbar, R., Witting, J.2006.High apex predator biomass on remote Pacific Islands.
Coral Reefs 26: 47-51. 




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